Jan Fabre si fa in quattro

corriere del mezzogiorno / 27 marzo 2019


L’artista belga in un progetto articolato tra Capodimonte, Madre, galleria Trisorio, Pio Monte

Jan Fabre è sempre stato un artista mistico, portatore di una spiritualità negata, che vìola la fede, talvolta la oltraggia, ridisegnandola sull’onda dell’umano dubbio, ma che non può mai prescindere, dialetticamente, dalla sua presenza forte, rimodellata da tradizioni e culture lontane eppure percorse da un robusto filo connettivo.
Quando immagina e dirige i suoi spettacoli, allestisce le sue mostre, disegna le sue coreografie. E d’altra parte, se vi fossero ancora dubbi, basterà lasciarsi condurre dall’articolato percorso immaginato a Napoli in quattro luoghi simbolici della città, magicamente legati da un progetto di Melania Rossi che parte dal Museo di Capodimonte con «Oro rosso» (ciclo a sua volta curato da Stefano Causa e Blandine Gwizdala), prosegue per la Galleria Trisorio con «Omaggio a Hieronymus Bosch in Congo», toccando il Pio Monte della Misericordia con «L’uomo che sorregge la croce» e giungendo infine al Madre con «L’uomo che misura le nuvole». Un tracciato da viversi tutto d’un fiato in una sequenza emotiva e insieme ragionata, a cui vanno ad aggiungersi anche altri appuntamenti come quello di oggi alle 17.30 alla Fondazione Premio Napoli con la presentazione del libro «Giornale notturno III (1992-1998)» edito da Cronopio (scritti nella notte, nel momento più propizio, lacerante e furiosamente creativo per l’artista belga, di cui pubblichiamo a fianco uno stralcio), domani alle 18 con «Painting the stage» insieme a Denise Wendel-Poray a Made in Closter e il 18 aprile al Politeama con «The night writer» interpretato dall’attore Lino Musella. D’altra parte il poliedrico artista di Anversa ha avuto più volte rapporti con Napoli, in termini espositivi e performativi (l’ultima al Teatro festival del 2017 con l’iperbolico «Belgian rules») e anche ora il nucleo più ampio, l’«Oro rosso» allestito a Capodimonte, è un site specific, realizzato con un materiale come il corallo, che Fabre ha fatto modellare nei laboratori Liverino di Torre del Greco. Croci, spade, teschi, cuori, pugnali, tutti oggetti rivestite da scaglie di corallo che rimandano a iconografie sacre e penitenti, a cui vano ad aggiungersi anche gli oggetti d’oro come gli scarabei cruciferi o i bassorilievi simili a ex voto. E poi il sangue, quello proprio o mestruale, usato in un ciclo di disegni fra gli anni ’70 e ’80 che fanno da ambiente ai simboli citati.
«Il sangue – afferma Fabre – oggi è oro» e i simboli che ne derivano innescano un ciclo continuo di vita-morte-rinascita. Tema che si ritrova nella scultura «L’uomo che sorregge la croce», una cera di colore bronzeo istallata al centro della cappella del Pio Monte, dominata dalla potenza delle «Sette opere di misericordia» di Caravaggio. Con le quali il braccio steso di questo autoritratto che regge una croce in bilico sulla punta della mano prova a dialogare sul terreno della problematicità religiosa, legata al senso stesso delle opere materiali e ideali, su cui si è sempre interrogato lo stesso maestro lombardo. Il conforto per il dubbio, quindi, come ottava misericordia, in tempi di agnosticismo come quelli attuali. Un confronto che sarà interrotto fra aprile e luglio dalla mostra su Caravaggio, e durante il quale la scultura di Fabre sarà portata a Capodimonte, salvo far rientro al Pio Monte fino a settembre. «Un viatico – ha poi annunciato il governatore del Monte, Rocco di Torre Padula – che aprirà a una collaborazione con il maestro belga, che ci darà in futuro suoi lavori per la nostra cappella». Da lì al Madre il tragitto è breve, come il senso che ispira anche l’opera esposta nel cortile della struttura presieduta da Laura Valente e diretta da Andrea Viliani. «Avevamo già – ha spiegato quest’ultimo – una versione in bronzo de “L’uomo che misura le nuvole”, sul terrazzo e rivolta verso il cielo. Ora presentiamo una versione in marmo, al centro del cortile, sempre rivolta verso l’Alto, ma in un rapporto più ravvicinato con le superfici chiare del nostro edificio interno». L’uomo allarga infatti le braccia rivolgendo al cielo un metro rigido da architetto, trait d’union fra materia e trascendenza. Infine la mostra dello Studio Trisorio, una selezione di opere realizzate solo con gusci di scarabei iridescenti, verde smeraldo, blu, oro e bronzo. «Omaggio a Hieronymus Bosch in Congo», a cura di Melania Rossi e Laura Trisorio, presenta infatti pannelli in cui le forme emergono come in un bassorilievo per raccontare la colonizzazione del Congo belga, dalla fustigazione degli schiavi alla costruzione della ferrovia per trasportare i beni verso i porti con destinazione Europa, e legando queste scene alla simbologia medioevale de «Il Giardino delle Delizie» di Bosch, in un’ambiguità sospesa fra l’idea del paradiso (l’Africa) e la sua successiva violazione.

Stefano de Stefano


L’anticipazione
Arte, memoria del mondo
di Jan Fabre

Ho esplorato per tutta la notte la magia della luce e della forma. Ore e ore a guardare le nuvole. Oggi visto ho visto gli occhi luminosi di un dio delle nuvole. Abbiamo passato trentasette minuti a guardarci negli occhi. Ci capivamo.
Francoforte, 9 febbraio 1993
Voglio, con una delle mie opere d’arte, ispirare nella società un cambiamento? Non sarà quindi un indugiare, un dubitare e un aspettare fino a quando non sentirò arrivato il momento giusto per realizzare questa unica opera d’arte?
Anversa, 24 febbraio 1993
Nel mio processo di lavoro niente egoismo, niente cupidigia, né ragionamenti in termini di profitto. Fidarsi l’uno dell’altro in tutta sincerità, sostenersi e ispirarsi a vicenda. Mangiare insieme, pensare insieme e creare insieme. Giorno e notte, fuori insieme e a casa insieme. Condividere insieme il fiasco e il successo. (Queste sono le regole della mia democrazia dittatoriale.)
Anversa, 3 marzo 1993
Grazie alla bellezza, il mondo ha una memoria.
Questa è la via dell’arte.
Anversa, 26 marzo 1993
I miei autoritratti: mascherare le mie maschere.
Amsterdam, 5 aprile 1993
Un provino di danza. Che lusso. Poter guardare i danzatori tutto il giorno. E guidarli fino all’estrema intensità del loro corpo disciplinato.
(L’intensificato disciplinare del corpo non lo stabilizza. Al contrario: lo fa deragliare. E in quel deragliamento vedo il vero talento e la personalità del danzatore. I danzatori capaci di destreggiarvisi sono quelli con cui voglio lavorare.)
Amsterdam, 6 aprile 1993
Secondo giorno di provino di danza. Non sono alla ricerca di un danzatore con un corpo codificato e anatomicamente strapreparato. Voglio vedere la natura originaria del danzatore attraverso la sua resistenza nei confronti del suo corpo disciplinato.
Anversa, 8 aprile 1993
Somebody up there loves me. Ho degli angeli custodi che mi proteggono dalla terrificante bellezza (da tutto quello che combino). (...)
Anversa, 23 aprile 1993
Il museo potrebbe essere la nuova chiesa? Nessuna autorità religiosa e niente dogmi. Solo valori etici che confluiscono in principi estetici.
Una fede nella bellezza che ci commuove e ci trasporta nella contemplazione.
dal Giornale notturno III (1992-1998), Cronopio, in libreria dal 4 aprile.


 
Previous
Previous

Super Fabre tra coralli e scarabei

Next
Next

Jan Fabre“Ho messo davanti al Caravaggio un uomo con la croce così l’arte ci interroga sul bene e il male”